Tra le misure che più hanno infiammato il dibattito legato alla pandemia di Coronavirus che sta colpendo il nostro pianeta, c’è sicuramente l’uso delle mascherine.
Il dibattito si divide tra chi le ritiene inutili e chi invece pensa che siano un valido strumento per rallentare i contagi.

Una nuova ricerca dell’università di San Francisco ipotizza che le mascherine sono molto utili e che addirittura possano favorire l’immunizzazione, diventare quasi un vaccino che protegge la popolazione dalla virulenza della malattia.
Per comprendere bene i presupposti su cui si fonda la ricerca dobbiamo fare un passo indietro.

Il vaiolo, malattia che nel corso degli anni ha causato la morte di milioni di persone, fu la prima malattia ad essere eradicata grazie all’uso del vaccino.
Il vaiolo era causato dal Variola Virus, si trasmetteva per via aerea tramite le goccioline prodotte dalla mucosa orale di un individuo infetto, causava febbre, rash cutanei e le forme acute potevano portare alla morte in poco tempo.
La malattia era molto diffusa nel mondo e già prima dell’invenzione del vaccino, molte popolazioni avevano sviluppato varie tecniche per contrastarla.
L’idea di massima che accomunava le varie tecniche era quella di immunizzare il paziente attraverso il contatto diretto con la malattia.
In generale il paziente sano veniva messo in contatto con qualcuno affetto da una forma lieve di vaiolo in modo da esserne contagiato.
La persona entrata in contatto con il malato, dopo circa una settimana, sviluppava i sintomi della malattia, una forma lieve da cui guariva senza conseguenze in pochi giorni.
Il contagio seppur avvenuto in forma lieve rendeva immuni alla forme più aggressive della malattia, l’organismo sviluppava gli anticorpi necessari a proteggerlo da nuovi contagi.

Questa semplice operazione, nata dall’intuizione e dall’osservazione dei pazienti ammalati, era diffusa in tutto il mondo in forme e modi diversi.

Ad esempio in Cina veniva fatta inalare ai pazienti da immunizzare una polvere ottenuta dalle croste di un soggetto in via di guarigione, in Europa veniva prelevato da pazienti con una sintomatologia lieve, del pus dalle pustole causate dal vaiolo, il pus veniva a sua volta inserito tramite una incisione nel braccio del paziente sano.

Queste operazioni non erano esenti dai rischi, le persone che venivano contagiate potevano contrarre la malattia in forme gravi e rischiavano di morire o di diventare a loro volta fonte di contagio per altri individui.

Queste tecniche furono comunque usate da moltissime popolazioni nel mondo, sino alla scoperta del vaccino da parte di Edward Jenner, vaccino che contribuirà alla scomparsa della malattia.

La ricerca proposta dai ricercatori Monica Gandhi e George Rutherford pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine afferma che le mascherine che utilizziamo giornalmente avrebbero l’importante funzione di filtrare le goccioline che contengono il virus riducendo la carica virale a cui un individuo sano verrebbe sottoposto.

La mascherina non servirebbe a proteggere dal contagio, ma limiterebbero la quantità di virus a cui siamo esposti.
Questo eviterebbe che la malattia si presenti con sintomi severi, un po’ come avviene con i vaccini a virus attenuati, la malattia si prende ma non produce sintomi.

Questo è il concetto che sta alla base dei moderni vaccini ma che veniva largamente utilizzato in antichità quando con l’osservazione si intuì che la gravità della malattia poteva essere proporzionale alla quantità e qualità di virus con cui si veniva in contatto.

A supporto di questa tesi è stato osservato che il 40% dei contagi da Coronavirus sarebbero asintomatici ma la percentuale salirebbe all’ 80% in ambienti in cui gli individui utilizzano la mascherina.

Su una nave da crociera argentina ad esempio, ai passeggeri e a l’equipaggio è stata fornita la mascherina, il tasso di infezione asintomatica si è attestato all’81% contro il 20% di asintomatici rilevati in navi in cui non è stato utilizzato il mascheramento.

In due recenti focolai in stabilimenti di trasformazione alimentare negli Stati Uniti dove tra i lavoratori vigeva l’uso della mascherina la percentuale di infezione asintomatica su oltre 500 contagi è stata del 95%, soltanto il 5% ha sviluppato sintomi lievi e moderati.

Se questa ricerca basata sull’analisi dei dati e sull’osservazione si dovesse rivelare corretta, renderebbe l’utilizzo della mascherina un utilissimo strumento per contrastare l’infezione da Covid19 che sta imperversando per il mondo.

Il concetto di base è che l’utilizzo di maschere facciali favorisca la diffusione di un’infezione asintomatica perché riduce la carica virale, chi si infetta con una carica virale bassa può diffondere soltanto una bassa carica virale permettendo una propagazione più moderata dell’infezione.

La ricerca ha ricevuto diverse critiche, per alcuni si corre il rischio di diffondere nella popolazione un falso senso di sicurezza che indurrebbe gli individui a comportamenti a rischio che favorirebbero il contagio, per altri la ricerca al momento non sarebbe suffragata da dati certi.

Il dibattito sull’utilizzo della mascherina come strumento di prevenzione è ancora lungo e vede gli esperti ancora divisi, per validare la ricerca dei ricercatori dell’università di San Francisco saranno necessari ulteriori e approfonditi studi, nel frattempo in un contesto in cui le certezze sono ancora poche e le polemiche rischiano di estremizzare le posizioni, in attesa che arrivino delle risposte chiare e condivise non resta forse che utilizzare il più antico metodo preventivo, una sana prudenza.

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