Che cosa è la felicità?
Definire che cosa è la felicità ha impegnato e continua ad impegnare studiosi di tutto il mondo.  Se molto studi e ricerche hanno indagato l’infelicità, i meccanismi che regolano la felicità rimangono ancora non del tutto definiti. 

La nostra vita potrebbe essere definita come un viaggio alla ricerca della felicità, tutti noi aspiriamo alla felicità, ma che cosa è?

Nella nostra società la felicità è associata al piacere. 
Ogni giorno siamo circondati da pubblicità che ci invita a comprare un po’ di felicità, una macchina, un telefonino o un dolce profumato, attimi a cui tutti noi aspiriamo. 
Ma cosa dice la scienza?

Una ricerca olandese che ha coinvolto 181 ricercatori e 145 istituti di ricerca ha dimostrato che ognuno di noi ha un livello di felicità standard ereditato geneticamente. 
Alla base del nostro livello di felicità ci sarebbe una predisposizione genetica che influirebbe sul modo in cui affrontiamo le difficoltà e gli eventi della vita.
Il fattore ereditario secondo la ricerca inciderebbe per il 50% sulla nostra capacità di essere felici, il restante 50% dipenderebbe dalla nostra capacità individuale.

Se una predisposizione genetica determina il nostro livello standard di felicità, quali sono i fattori che determinano il restante 50%?
Secondo molti ricercatori, un grande ostacolo alla felicità siamo noi stessi.
 L’infelicità è spesso generata dalla nostra mente, dai nostri sensi di colpa, dai nostri assilli, dal nostro senso di inadeguatezza. 
Pensieri e giudizi in cui il passato è foriero di rimpianti, nostalgia, tristezza e risentimento, mentre il futuro è visto con preoccupazione e ansia.

L’incapacità di vivere nel presente, e inseguire la felicità in singoli piaceri, singoli momenti effimeri che siamo invitati a ricercare assiduamente, ma è anche vero che questi momenti per la loro stessa natura sono passeggeri e non ci soddisfano pienamente.
Diverse ricerche nel corso degli anni hanno dimostrato che ricercare la felicità nell’accumulo di piaceri alla lunga non sia gratificante.
 Se è vero che l’accumulo di beni materiali, di successi professionali aumenta il livello di felicità questo però sarà momentaneo, un meccanismo di assuefazione richiederà sempre di più e con il tempo la gratificazione tenderà a diminuire e si ritornerà al nostro stato di felicità standard.

Per lo psicologo americano Martin Seligman è importante distinguere uno stato di felicità temporaneo da uno stato duraturo nel tempo. 
Il nostro stato di felicità standard come abbiamo visto ha una radice genetica che influisce per il 50% sulla nostra condizione di felicità, a cui lo psicologo americano aggiunge un altro 10% che dipende dalle condizioni ambientali in cui viviamo, ad esempio condizione economica, status sociale e salute fisica. 
Il restante 40% dipenderebbe esclusivamente da noi e dal nostro modo di intendere il mondo.

Per Seligman la felicità durevole è il frutto della gratificazione che si ha nell’impiegare le proprie capacità al servizio di qualcosa di più grande e durevole, qualcosa che trascende la nostra individualità che ci fa sentire partecipi di qualcosa che va oltre noi stessi, come ad esempio mettere a disposizione le nostre capacità per una causa sociale, etica, politica o contribuire al progresso dell’umanità.

Se il pacere dona una felicità passeggera, sentirci partecipi di qualcosa di più grande, dona uno stato di felicità duraturo che non da assuefazione e che ci gratifica pienamente.
È questa la chiave della felicità?
Se è vero che l’uomo da sempre ricerca singoli attimi di piacere, è anche vero che la volontà di sentirsi parte di qualcosa di più grande, è il motore che spinge l’uomo a superare i propri limiti, un istinto innato che condiziona azioni e pensieri.

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